
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Triplice intesa, nella corrispondenza dell’istitutrice Marie Chappe, oggi custodita nell’archivio della villa Bornancini di Cinto Caomaggiore, appaiono alcune cartoline postali in franchigia, scritte in francese da Luigi Fusi.
Da quanto se ne deduce, Luigi era componente di una famiglia italiana emigrata in Francia a Chambery, capoluogo della Savoia. I due si erano casualmente conosciuti a Cinto Caomaggiore nel 1917, lei istitutrice francese della famiglia più facoltosa del paese e lui un semplice soldato facente parte del Battaglione di marcia del 13° Reggimento di fanteria che per un certo periodo fu ospitato nel Palazzo della Persiana di Cinto. La complicità della lingua e la combinazione di essere tutti e due residenti nell’alta Savoia, fece probabilmente sorgere una reciproca cordialità.
La prima cartolina è spedita il 20 aprile 1917 da San Vito al Tagliamento, pochi giorno dopo la partenza da Cinto. Luigi scrive: «avevamo ben ragione di essere dispiaciuti di partire da quel bel paese che è Cinto e poi le posso assicurare che la nostra nuova caserma differisce molto da quella che per noi era la jolie Persianne [da leggersi il bel Palazzo della Persiana]».

Un mese è mezzo dopo è già in zona di guerra, si trova a fronteggiare gli austriaci nei pressi di Tolmino durante la XI°Battaglia dell’Isonzo. Scrive una cartolina datata 1 giugno 1917, facendo il nome di altri due soldati probabilmente conosciuti a Cinto anche da Marie: «da ieri non ci divertiamo molto perché i loro canoni non ci lasciano un minuto in pace, io mi trovo con Montagne dentro una dolina, quanto a Maestroni egli si trova alla nostra sinistra con il suo plotone a circa 600 metri di distanza».
Una terza cartolina è datata 6 giugno1917, e viene spedita in risposta ad una «cara e tanto desiderata lettera» di Marie, però nelle sue righe non si sente più il fragore della battaglia ma si può cogliere l’eco di una agitazione interiore generata da una evidente inquietudine passionale. Luigi infatti scrive: «grazie molte e vi sono molto riconoscente per tutte le vostre buone parole che hanno portato sollievo al mio cuore che soffre molto. Per il momento non vi dico altro su questa cartolina e voi ne conoscete la ragione. Voglio scrivervi più lungamente in una lettera quando avrò il vostro nuovo indirizzo».
Gli esiti sono però incerti non abbiamo altre lettere a suffragare i buoni o i cattivi risultati di tali schermaglie amorose. In compenso qualche mese dopo il battaglione del soldato Fusi si trova coinvolto nella tragica disfatta di Caporetto e anche il povero Luigi, dopo essersi arreso al nemico, dovrà sperimentare l’indigente ospitalità dei campi di prigionia austriaci. Tale evento provoca una lunga separazione, anche epistolare, fra i due. La prima cartolina spedita da Luigi dal campo di prigionia è datata 24 settembre 1918 e contiene una sua piccola foto: «che ho sviluppato io stesso» scrive «e che ho fatto qui con l’aiuto di un mio amico che possiede un piccolo apparecchio». Dunque è già passato più di un anno, però non sembra che il tempo intercorso abbia raffreddato i suoi slanci amorosi: «datemi il prima possibile le vostre care notizie che attendo da così lungo tempo con grande impazienza».
Scriverà a Marie altre due cartoline però nella sua prosa si denota già meno enfasi, il tono è più dimesso e melanconico. Forse in lui comincia a farsi strada la consapevolezza che il suo fervore galante non trovi un adeguato riscontro in Marie. In una di queste cartoline medita tristemente sulle imponderabili incombenze della sorte, scrivendo: «che cambiamento dopo la nostra prima conoscenza, chi me l’avrebbe detto, dopo i tanti bei momenti che abbiamo trascorso insieme dover finire prigioniero e condurre una vita così miserevole e dura per ben tredici mesi». Permane però incessante un filo di speranza e termina con una frase abbastanza eloquente: «vostro amico che molto spesso a pensato e ripensato a voi. E che non vi vuole dimenticare».
Nemmeno la retorica militare sembra poter distrarlo e consolarlo. Nella cartolina datata 17 ottobre 1918, intuendo l’approssimarsi della conclusione della guerra, mette in risalto i suoi luttuosi effetti e i patimenti dovuti alla lunga lontananza dai suoi cari. Scrive: «io credo che il momento si approssima per la fine di questa guerra che ha portato il lutto in tante famiglie ed io spero bene per i prossimi mesi del 1919 di poter andare rivedere i miei cari parenti, dopo una lunga assenza di 4 anni».

La fine della guerra però non pone termine all’odissea di Luigi: deve fare i conti con le vessazioni imposte dalle gerarchie militari nei confronti dei prigionieri italiani ritenuti responsabili della disfatta di Caporetto.
Rientrato in Italia si trova confinato nei campi di raccolta allestiti nell’Emilia Romagna per essere interrogato e subire una quarantena più punitiva che sanitaria. L’ultima cartolina è spedita da Gossolengo (Piacenza) nella baraonda di uno di questi centri di raccolta, carente di alloggi e di vettovaglie, dove furono ammassati caoticamente circa 60.000 ex-prigionieri italiani. Però delle nuove angherie subite non c’è traccia nella cartolina, educatamente e cordialmente saluta la «bien chére Marie» confida di ottenere un permesso per passare a Chambery le feste di Natale ma soprattutto spera ancora di avere al più presto sue notizie. Dopo questa cartolina nella corrispondenza di Marie giunta a noi non c’è più traccia di Luigi Fusi. C’è solo da augurarsi che il campo di raccolta di Gossolengo non sia stato per Luigi fatale, e che il suo nome non faccia parte della lista degli 861 morti nei Centri di Raccolta dell’Emilia Romagna, a causa della spagnola o per i patimenti dovuti all’indecoroso trattamento ricevuto.
Dal libro “La sagrestia del paradiso” edito dall’Associazione Gregorio Lazarini nel 1920
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