a cura di Marcello De Vecchi, dal libro “Cronache di vita agreste” ed. del Comune di Cinto C. – 2003
Non sai forse che le donne causano agli huomini l’esterminio della loro vita, honore, anima? Ne abbiamo tanti esempi nell’istorie di custioni, stragi, guerre, dessolationi di città e perdita di regni.
Giacomo Agostinetti, Memorie di un fattore, sec XVI
Un piccolo esempio di quanto l’avvenenza e la bellezza femminile può essere pericolosa lo possiamo trovare anche nel paese di Cinto. In realtà a provocare tali eventi solitamente non sono le donne, ma sovente vengono usate come pretesto dalla cupidigia maschile di voler possederle ad ogni costo, usando anche la violenza, se non con loro, contro gli altri pretendenti.
La maggior parte dei conflitti che succedevano durante le sagre o fiere di paese dei secoli passati avevano come motivo scatenante la figura femminile: uno sgarbo, un’offesa, qualche proposta allora reputata sconveniente, facevano nascere delle liti furibonde fra i rei e i fratelli o fidanzati che si ergevano a difensori dell’onore della propria congiunta e tali conflitti provocavano a volte persino la morte di qualche contendente. Bisogna considerare che in quell’epoca era abbastanza comune portare con sé armi da taglio o da fuoco e che una qualsiasi ferita, a causa delle scadenti condizioni igieniche e degli approssimativi medicamenti di quel tempo, poteva rivelarsi mortale.
Un altro luogo in cui le risse trovavano un ambiente adatto per esplodere erano le osterie. Ed è proprio in un’osteria di Cinto che, per bramosia verso una donna, nel 1686 succede un clamoroso fatto di sangue. La cronaca ci è pervenuta grazie ad una lettera di Gabriel Marcello allora luogotenente della Patria del Friuli, con la quale rende edotti i Capi del Consiglio dei Dieci di Venezia.
Non c’è dato sapere il nome della donna, ma desta qualche nota curiosa il fatto che a contenderla e a fomentare la rissa sono alcuni discendenti di due famiglie storiche di Cinto, Gobato e Meneghini, che quaranta anni prima si erano in qualche modo “imparentate” sposando due sorelle della famiglia cintese Brain. I Meneghini erano dei piccoli proprietari terrieri presenti a Cinto fin dal Quattrocento mentre i Gobato arrivarono a Cinto nel corso del Cinquecento e sono attivi soprattutto come artigiani, in particolare fabbri.
Il fattaccio avviene nella notte della domenica 10 marzo 1686 e le persone coinvolte sono tutte della villa di Cinto.
Trovandosi quella notte nel hosteria di Mathio Cechitto; Zulian, Luca, e Usvaldo fratelli Meneghini da una, e Giacomo, e Francischo Gobati germani in compagnia di Iseppo Felipputo, e Nadal Canella loro amici dall’altra; e passando qualche amarezza tra li Gobati, e Luca Meneghini per causa di una putta desiderata in moglie da uno d’essi Gobati e promessa finalmente dai suoi al medesimo Luca. Capitato ivi un tal Bernardin Barelio amico d’una parte, e l’altra, a cui erano note le ammarezze loro, e veduti i Gobati, e compagni armati d’archibugi, e li Meneghini con legni, dubitando di qualche male, stimò bene frapporsi per aiutarli.
Nell’osteria di Matteo Cechitto si trovano una domenica sera tre fratelli Meneghini armati di bastone da una parte; e due cugini Gobato dall’altra parte accompagnati da Giuseppe Filipputo e Natale Canella armati con archibugi.
Bernardin Barelio che interviene come paciere è una figura molto conosciuta nel villaggio di Cinto negli anni che corrono fra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento: di origine milanese e di professione “mastro” muratore ossia imprenditore edile, occuperà diversi ruoli pubblici fra i quali quello di procuratore della chiesa di Cinto e avrà spesso deleghe da parte della “vicinia” (amministrazione comunale di allora) per trattare alcuni interessi del villaggio con le magistrature veneziane.
(…) [Il detto Barelio] abbocandosi coi Meneghini, non hebbe difficoltà a disponerli a bevere insieme con li Gobati, ma ricusando questi l’invito, di là a poco essendo gli uni, e gli altri nel cortivo vennero d’improviso alle mani rilevando Iseppo Felipputo leggera offesa di bastoni nel volto. Separati per al’hora dalla moglie, e serva del hoste, e del Barelio sudetto, et altri, ridotti i Gobati, e compagni, e tenuti in sicuro nella cucina, mentre veniva trattato più caldamente la pace, e i Meneghini nuovamente si disponevano.
Le cose cominciano a complicarsi, il tentativo di ergersi come paciere da parte del Barelio è miseramente fallito, le due parti entrano in contatto fra loro nel cortile dell’hosteria e nello scontro che ne consegue rimane ferito alla testa un amico dei cugini Gobato. A questo punto entra in campo una donna, Usvalda Anabuzzi che nella lettera risulta svolgere il doppio ruolo di moglie e serva dell’oste Cechitto, probabilmente era addetta alla mescita delle bevande, la quale con il contributo degli altri avventori cerca di dividerli e di riportarli alla ragione. Usvalda con il suo intervento ha inizialmente successo, i contendenti vengono divisi e sistemati in luoghi diversi della stessa osteria: i Meneghini sotto il portico esterno mentre i Gobato, con i loro amici, vengono rinchiusi in cucina. E come in ogni conflitto che si rispetti iniziano le trattative di pace.
Uscendo dalla cucina la serva, e dietro a lei il Canella, il Felipputo volendo nell’aprir della porta sbarar un archibuggiata per quanto si può arguire, contro dei Meneghini, ch’erano di fuori, et fattole andar vuoto il colpo, Canella al hora, ch’era appostato dietro alla siepe del horto del hosteria, cariccato il suo archibuggio contro i fratelli Meneghini, ch’eran ridotti sotto il portico con il Barelio, et altri che negotiavano la pace, colpì alla testa Zulian uno d’essi fratelli, che immediatamente caduto a terra rimase estinto, restando nel tempo stesso ferita la serva, Usvalda gravemente con ballini grossi nel collo, e nella schiena con balla non penetrante che la semplice cute, e toccò di legiero in una mano anco un tal Pietro Turco con pericolo d’assai peggiore successo.
I negoziati vengono mediati dal Barelio per parte dei Meneghini mentre la signora Usvalda s’incarica di quietare la parte avversa rappresentata dai Gobato, ma a quanto pare le trattative risultano piuttosto difficili. Appena uscita Usvalda dalla cucina, approfittando della porta aperta, viene sparata una prima “archibuggiata” da parte del Felipputo, che si presume diretta contro i Meneghini. Il colpo va a vuoto e a questo punto interviene il Canella che, approfittando della confusione creata dal primo sparo, si era portato nell’orto dell’osteria, dove ben appostato dietro ad una siepe scarica il suo archibugio contro i Meneghini.
Essendo l’archibugio caricato a pallini grossi, il colpo è micidiale: colpito alla testa Zulian Meneghini stramazza a terra ucciso, e ne rimane vittima anche Usvalda, la quale viene ferita gravemente al collo e alla schiena, passa a “miglior vita” nei giorni successivi. Una terza persona, Piero Turco, piccolo proprietario terriero cintese, rimane ferito leggermente ad una mano. Ma lo scontro non si conclude qui.
Caduto morto Zulian, Luca il fratello si posò a seguire l’homicida Canella fuggitivo, il quale la mattina seguente in un campo contiguo al horto della hosteria con la testa infranta da più percosse giudicate di legno fu trovato poi morto, che essendovi in quela hora oscura della notte alcuno presente a questo fatto vien formato giudizio che per mano di Luca restasse ucciso; et se bene Usgualdo rilevasi che per qualche momento si trattenesse piangente sopra il cadavere di Zulian predetto, ad ogni modo sparito di là anch’esso non è posto in chiaro se egli pure seguitasse la traccia dell’interfetore, e possa havere unitamente a Luca cooperato alla di lui morte.
La reazione dei fratelli dell’ucciso è immediata, l’omicida cerca di fuggire attraverso i campi ma viene rincorso da Luca Meneghini e nella cupa e fredda notte di marzo, che nasconde i protagonisti dagli sguardi indiscreti dei testimoni, si dà pratica alla legge del taglione. Il Canella viene ucciso a colpi di bastone e il suo corpo esanime viene ritrovato solo il giorno dopo, nel campo che confinava con l’orto dell’osteria.
Anche Usvaldo Meneghini è sospettato di complicità nell’uccisione del Canella, poiché, dopo essersi trattenuto piangente per qualche momento nei pressi del cadavere del proprio fratello Zulian, anche lui era scomparso nella notte senza lasciar traccia. Un omicidio così efferato in un campo poco lontano dall’osteria deve aver causato qualche trambusto ben avvertibile dai precedenti avventori, i quali però, probabilmente scottati da quanto era già successo, si sono ben guardati questa volta di intervenire. La lettera del luogotenente termina con questa considerazione:
(…) circa il motivo c’habbi havuto il Canella di sbarar contro i fratelli Meneghini non è anco rilevato in processo, essendo stata proseguita la formazione d’esso fino a quel segno che basta per adempir all’obligo delle leggi ingiunto di partecipare come faccio con la presente humilmente il caso a Vostre Eccelenze per quelle deliberationi che saranno stimate proprie.
Il fatto avvenne in un momento in cui l’ufficio di cancelleria della giurisdizione della Meduna, al quale la comunità di Cinto sottostava, era stato sospeso. Succedeva sovente in questa giurisdizione dove l’applicazione della giustizia lasciava tanto a desiderare da costringere le magistrature veneziane a decretare periodiche chiusure. Comunque, date le distanze, il cancelliere della Meduna ebbe una delega speciale per visionarne i cadaveri e redigere una relazione per il Capitano, giudice di Malefizio della Luogotenenza di Udine, che ebbe incarico di istruire il processo. Le carte del processo non sono state ritrovate.
Troviamo però tracce di questo tragico evento nei libri dei morti della parrocchia di Cinto:
Adi 11 marzo 1686. Zulian Meneghin da Cinto morse hieri sera interfetto, senza sacramenti perché spirò imediatamente, era però confessato, et comunicato questo Natale prossimo passato, onde hoggi fù il suo cadavere, dopo essere stato licenziato dalla Giustizia, sepolto nel Cimiterio di Cinto. Era d’età d’anni 25 in circa.
Adì 12 marzo 1686. Nadal Canella in età d’anni 25 in circa habitante in Cinto, morse hier l’altro da sera interfetto, et spirò, che non si seppe in un campo, senza sacramenti, fu hoggi il suo cadavere condotto à seppelir nel cimiterio di Pramaggior, così avendolo fatto condur suo padre, licenziato dalla Giustitia.
(I due disegni con figure sono di Lenci Sartorelli e i due paesaggi sono di Marcello De Vecchi)
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