Itinerari di storia minuta

Se a qualcuno capiterà di passare per Settimo e di trovarsi nei pressi della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista e intendesse proseguire verso Marignana, dopo circa cinquecento metri si troverà sulla destra un lungo fabbricato, formato da una casa padronale e da alcuni edifici un tempo rurali: si tratta di un insediamento dominicale tipico della pianura friulana. E di origine plurisecolare, soprattutto la casa padronale che nella seconda metà del Cinquecento fu acquistata e ristrutturata da Jacomo Regazzoni, ricco e nobile mercante veneziano che aveva fatto fortuna vendendo mercanzie in Inghilterra.

Jacomo era uomo di mare e disponeva di una sua flotta privata: si vantava di aver contribuito alla sconfitta dei turchi nella battaglia di Lepanto nel 1571, avendo messo a disposizione della Lega Cristiana una nave da guerra con cento armigeri ed aver contribuito all’amministrazione delle vettovaglie. I Regazzoni come era consuetudine, avevano investito in terreni agricoli i loro guadagni. Disponevano di proprietà a Noale, a Sacile, dove avevano acquisito un feudo e il più facoltoso palazzo signorile. Tra Settimo e Basedo possedevano 238 campi con vari fabbricati rurali e questa casa padronale dove avevano investito in bellezza e comodità, restaurandola e decorandola con degli affreschi in parte ancora oggi visibili. In queste dipinture si vedono alcune figure allegoriche con diversi stemmi di nobili famiglie: furono eseguiti per celebrare i matrimoni delle dodici figlie di Jacomo, di cui dieci si erano sposate con rampolli nobili. Tutti questi matrimoni necessitavano di somme notevoli da esibire nelle doti delle fanciulle e quindi si può ritenere che la famiglia disponeva di grande ricchezza.

Jacomo, durante la sua vecchiaia, frequentò sovente le dimore di Settimo e Sacile, e alla sua morte il suo patrimonio fu dato in eredità al nipote Jacometto Regazzoni. Era un giovane esuberante a cui piaceva bravar in compagnia e far bella vita. La sua vitalità dissoluta ebbe però subito qualche intoppo: si trovò inquisito per la violenza ad una giovinetta e per l’uccisione di tre persone a Sacile.

Scappò e si rifugiò nella villa di Gradiscutta nei pressi di Codroipo, che allora aveva giurisdizione imperiale. Da qui con i suoi compari cominciò a fare qualche scorreria nelle terre di Settimo, minacciando di morte il gastaldo e i contadini della “casa longa” che osavano far resistenza.

Il Consiglio dei Dieci nel frattempo aveva messo sotto sequestro le terre di Jacometto e nel 1626, per difenderle dalle razzie, distaccò a Settimo mezza compagnia di Cappelletti (soldati della Serenissima), che furono alloggiati in questa casa. Tale presenza non era però gradita alla popolazione in quanto i soldati non si comportavano tanto diversamente dei banditi. La questione ebbe termine nel settembre del 1628, con la morte di Jacometo, ucciso in una rissa d’osteria a Mantova, dove si era recato con l’intento di arruolarsi e partecipare alla guerra di successione, allora in corso.

La casa longa e i terreni del Regazzoni erano già stati acquistati all’incanto dal nobile Zaccaria Sagredo (del ramo di Santa Sofia); si trattava di una persona molto in vista a Venezia: era un Procuratore di San Marco e intratteneva rapporti epistolari con Galileo Galilei. Ma Mantova non portò fortuna nemmeno al nuovo proprietario, il quale ebbe l’incarico di comandante generale delle truppe veneziane. Secondo gli storici non ebbe un comportamento molto lusinghiero: fuggì davanti ai soldati tedeschi rendendosi responsabile di un eccidio così grande della milizia Veneta, che fu calcolata la perdita in quattromila Fanti.

La guerra di Mantova viene ricordata dagli storici per essere stata il focolaio della peste che imperversò disastrosamente a Venezia nel 1630 (ma anche nel resto dell’Italia e qui in zona a Portogruaro e Pordenone). Il Senato di Venezia mise sotto processo Zaccaria condannandolo a 10 anni di carcere. Nonostante tale sentenza i suoi cinque figli (Nicolò, Stefano, Alvise, Marco e Gherardo) non ebbero difficoltà a far carriera. Nicolò giunse alla carica più ambita: fu eletto Doge di Venezia, anche se per poco tempo: dal 6 febbraio 1675 al 14 agosto 1676, giorno in cui morì. Alvise invece divenne patriarca di Venezia nel 1678 e vi rimase fino al 1688. E toccò proprio ai figli di Zaccaria l’amministrazione dei possedimenti di Settimo per buona parte del XVII secolo.

Marco è quello che troviamo più spesso presente nei documenti dell’epoca e in uno di questi rende noto un fatto piuttosto curioso successo a Settimo, che ha come protagonista una cortigiana. Nell’agosto 1675 una di queste veneziane donne di mondo, si trovò ospite nella casa longa, attirando l’interesse di alcuni giovani di Settimo che procurarno di goderla, ma essa non acconsentì. Sembra che i giovani tentarono di convincerla con modi un po’ bruschi e allora lei, a tale insistenza, si lasciò cadere in terra con suo lieve incomodo. Il Meriga del comune, per suo sollievo, fece denuncia della vicenda alla Corte di San Vito.

Marco Sagredo a questo punto scrisse una lettera in difesa dei poveri homeni di Settimo definendo la vicenda una leggierezza giovanile, uno scherzo piuttosto che volontà di far danno e di considerarlo solo un’accidente d’un imaginabile momento. Oltrettutto la donna di mondo non aveva inoltrato alcun reclamo e chiese dunque ai nobili Altan che sedevano nella corte di San Vito di evitare d’istruire un processo che avrebbe potuto comportare total esterminio della vita dei poveri giovani.

Tale evento dimostra che la casa longa di Settimo in quel periodo veniva usata come alcova da qualche rampollo dei Sagredo che amava frequentare le donne di piacere veneziane; le quali però essendo cortigiane di un certo rango, non ritenevano gli indigeni del posto degni delle loro ambite pratiche.

dal libro “Terre di risorgiva del Reghena e del Caomaggiore” di M. De Vecchi, edito dal Comune di Cinto C. nel 2015

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