
Van Gogh ha eseguito solo 9 litografie nel 1882 e per lo più disegnate su carta autografica, sicuramente dignitose ma che certo non possono essere annoverate tra i capolavori di questa tecnica. La testimonianza che ci ha lasciato nelle “Lettere a Teo” è però significativa .
“Quando ero a Bruxelles ho cercato di trovare lavoro presso qualche litografo ma fui respinto”
Scrive: “Quando ero a Bruxelles ho cercato di trovare lavoro presso qualche litografo ma fui respinto […] volevo solo vedere qualcosa dell’arte della litografia e soprattutto imparare. L’impressione che ricevetti là e presso altre ditte era che la litografia stesse davvero estinguendosi.”. In quei tempi a Parigi era in voga la carta autografica con cui si cercava di ovviare alla “scomodità” di disegnare direttamente su pietra. Di questo nuovo procedimento Van Gogh venne informato da suo fratello Teo. Se ne interessò anche perché spinto dal desiderio di diventare illustratore e fece le prime esperienze dallo stampatore Smulders.
All’inizio ne rimase favorevolmente impressionato:- “Penso che sia davvero possibile che questo nuovo metodo darà nuova vita all’arte della litografia”. Ma dopo qualche altra prova arriverà alle seguenti conclusioni: “Penso che cercherò di fare delle litografie senza l’intermediario della carta, disegnando semplicemente sulla pietra stessa. Temo che il nuovo procedimento sia una di quelle cose che non possono soddisfare un individuo in pieno, che sia in effetti troppo liscio. Voglio dire che una litografia del tipo comune ha il fascino dell’originale che non può venir riprodotto da alcun ché di meccanico”. Con questa frase Van Gogh, inconsapevolmente, dava inizio ad una discussione che ancor oggi, dopo più di 100 anni di innovazioni tecnologiche, continua a fomentare qualche contrasto fra gli adepti della stampa originale.
In una sua lettera riporta un episodio successo in stamperia che ci permette di avere qualche indizio del suo modo di concepire l’arte: “Gli operai di Smulders hanno visto la pietra del Vecchio dell’ospizio ed hanno chiesto al litografo se ne potevano avere una copia da appendere al muro. Nessun risultato del mio lavoro potrebbe farmi maggior piacere del fatto che comuni lavoratori abbiano piacere di appendere quelle stampe alle pareti delle loro stanze o botteghe. Naturalmente il disegno deve avere un valore artistico, ma secondo me ciò non impedisce che l’uomo della strada ci trovi qualcosa”.

Questa sua visione dell’arte lo porterà, in una lettera successiva, ad ipotizzare l’uso della litografia per pubblicare dei disegni olandesi da distribuire nelle case degli operai e nelle fattorie e di dare vita a questo scopo ad “una associazione in cui tutti fossero degli uguali, senza regolamenti, presidenti o cose del genere […] senza avere il guadagno personale come scopo […] una associazione che agisca, non deliberi”. Tale uso della litografia era auspicato da Van Gogh per contrastare tutte quelle pubblicazioni che “seguono la marea di superficie” e dove “delle mediocrità prendono il posto della gente che lavora, dei pensatori, degli artisti; per riempirle di cose che non costano né tempo né fatica, per produrre ogni tanto qualcosa di buono ma riprodotto in maniera meccanica di poco valore e inoltre, solo per fare più denaro possibile”.
Non se ne fece niente ma l’esperienza fatta in litografia influenzerà in qualche modo le sue opere grafiche successive. Fu stimolato a dare “maggior carattere e più effetto” ai suoi acquerelli, spingendolo a usare il pastello litografico anche per i suoi disegni su carta. Arriverà a sostenere che il pastello litografico “dà molto vigore e profondità di toni” rendendo “il disegnare quasi piacevole come il dipingere”.
Dall’opuscolo “Note storiche sulla Litografia” di Marcello De Vecchi
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