
CINTO, DOVE SEI…
Era forse un vortice di scintille sopra i pioppi della Bandida erano forse tessere dorate di un mosaico esploso le foglie di platani della statale 251 della Val di Zoldo (precisamente al km 7, per la precisione) erano quelle foglie che ritmavano le nostre pedalate, come mai, ci chiedevamo, che la strada è in salita, che qui siamo in pianura? Cosa ci fanno tutti questi “cesioi”, dov’è che siamo? Che qui sei a Cinto Caomaggiore.
Li vede quei due là in fondo, volano alti e si fermano anche in aria a perpendicolo su di un punto geografico, si chiamano Gheppi, sa, sono falchi che qui sono di casa, è più o meno il corrispettivo dei vostri elicotteri, io li invidio, sa, di professione faccio il ricercatore dell’ombra degli arcobaleni, mi creda, non è un mestiere facile.
Dai salici capitozzati delle rive, là verso il palù di Settimo istantanee immobilizzavano fuochi di artifizio: erano i rami tesi verso l’alto a febbraio, con quell’aria che esala il profumo delle prime gemme, con quell’aria che porta il segno diluente della nebbia al mattino, erano come i salici d’argento che accarezzavano l’acqua del Caomaggiore, sa, li dove c’era il lavatoio di legno e le schiene chine delle donne a lavare, che confusione, però, un poco oltre, c’era un gruppo di olmi che se ti stendevi sotto potevi vedere la matematica nelle loro foglie e nei rami, o alla peggio stavi solo lì ad ascoltare il rumore del tempo che passava, facendo pure finta di non essere stato visto dagli occhi acuti del verde di turno del ramarro di turno.
Era facile, sa, quella volta, perdersi nelle spirali blillanti di rugiada delle ragnatelle degli Epeira dalla croce bianca sul dorso, era facile perdersi, perché perdersi era piacevole, voglio dire, non so se mi capisce, che non si era ancora entrati nell’età della riproduzione della specie. Gli ossidi di ferro tingevano di arancione il colore dei sassi della ghiaia del fondo mescolandosi all’azzurro dell’acqua che scorreva nei riflessi di raggi di sole filtrati dalle foglie. Più in là saltava una trota, voglio dire una trota vera e questo spettacolo era tutto, ci, come dire, ci riempiva d’emozione che ora… lasciamo pur perdere.

…Cinto: strada di sassi il Bando, sottacqua il Bando (che divertimento per noi), cave gelate e fossi di tartarughe e rane.
…Là in fondo oltre il lampione, dopo il ponte del Macello, rigorosamente di legno, nuvole e nottole danzavano alla luna nel viola della sera.
…Le rane morirono, sa, le rane hanno vita breve, lasciarono posto ad altre specie, la vincente fu il benessere, e con esso il malessere (ovviamente, pensarono le rane superstiti), ma adesso non mi venga a dire che si stava meglio quando si stava peggio.
…Cinto: odore di muschio dei fossi del Cimitero, fossi di salamandre e tritoni.
…Cinto: filari di pioppi sfumavano nella nebbia lungo la roggia che portava a Imboccalleacque, prima che diventasse autostrada.
…Cinto: una “bressana” stava alle Risere. Domanda: e ora cosa c’è? Risposta: un lago artificiale.
…Dietro al mulino si mescolava nell’ombra l’odore del muschio e della polvere della crusca, dietro al mulino col suo ponte marcio, ma centro di vita perché la farina contava.

…Cinto: fiore sfiorito nell’arredo urbano, nei pini bugiardi di via Roma, in quel qualcosa che comunque ci manca anche se ora, guardateci un po’, non ci manca niente. O no?
Dove sei Graziano, bracconiere di Dio, principe dei bracconieri, maestro di racconti e di rasoio, sa, io la ricordo, lei fu l’ultima persona a cui lascia tagliarmi una ciocca di capelli.
Dove sei Ida Fortaia, dove sono la tua fascina e il tuo vestito nero che strascicavi nella polvere fino alla piazza di tigli con fontana, dove sei Ida, caduta coi tigli, spenta con la fontana, dove sei barometro della nostra infanzia e dell’altrui.
…Cinto, so che ci sei Cric Crigini, tu che eri nato libero, gli s-ciosi le rane e i funghi non avevano segreti per te, le anse del fiume celavano il tuo polso sapiente alla canna che pescava squali (in italiano: cavedani), ho imparato molto da te, credimi, ora che sei morto libero.
…Cinto, so che ancora ci sei, Nin Brun, disintegrato tra stivali di gomma e cappello da caw-boy, abile nel giuoco del biliardo, consumato “alquimista”, dove sei? che non voglio dimenticare la tua grappa e i tuoi baffi. Non so se mi spiego, non ditemi che non ve ne ricordate, sa, dal resto anch’io porto i baffi.
…Cinto: anche se dimenticati, lei ha pur sempre due fiumi ed una quercia, sa, non è poco, me lo lasci dire, perché sono di qui.
Dicembre 1999
dalla Cartella di litografie CHIAL MAIOR
Luciano Arreghini
No responses yet